APOL

A.P.OL.

SOCIETÀ COOPERATIVA - LECCE

Reg.CE n. 867/08 mod. dal Reg. UE n. 1220/11 - ANNUALITA’ 2012/2013

BOLLETTINO INFORMATIVO N. 2 - Febbraio 2013

SOMMARIO

  1. Formazione di assaggiatori per l’analisi sensoriale degli oli
  2. Una filiera per l’olive da mensa
  3. I contenitori per l’olio e l’imbottigliamento

1. Al via il 1° corso APOL per assaggiatori

L'analisi sensoriale, oltre ad essere il modo per stabilire l’appartenenza degli oli vergini da olive alle diverse classi merceologiche, rappresenta una tecnica fondamentale ed irrinunciabile per caratterizzare e valorizzare i prodotti ottenuti. La valutazione dei parametri organolettici, infatti, oltre ad esprimere pregi e difetti di un olio, costituisce la metodologia investigativa più efficace per avere tutte quelle informazioni in grado di “identificare” un olio rispetto alla sua appartenenza varietale e alla sua provenienza in termini di tecnica produttiva e territorio.

In considerazione che le analisi sensoriali possono essere eseguite solo da operatori esperti dotati di specifiche sensibilità e capacità di percezione dei parametri considerati, ne consegue che l’affidabilità del sistema di valutazione sensoriale, e quindi degli assaggiatori professionisti, deve essere molto elevata, soprattutto quando è necessario fornire risposte certe in sede di ammissibilità sul mercato di un determinato olio o di verifica della rispondenza dei requisiti dello stesso agli standard definiti nell’ambito di Disciplinari di Certificazione.

L’Azione 3f del programma APOL di miglioramento della qualità della produzione di olio d'oliva e di olive da tavola, in attuazione del Reg. CE 867/08 s.m.i., ha come obiettivo specifico proprio quello di provvedere ad incrementare il numero degli assaggiatori e a migliorare le capacità professionali di coloro già presenti ed operanti nell’ambito del settore olivicolo/oleico locale, conferendo il relativo attestato di idoneità fisiologica all'assaggio dell'olio di oliva vergine, ai sensi del Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali D.M. 1334 del 28/02/2012.

Il corso avrà luogo a Maglie presso la sala comunale didattica di piazzale SS Medici dal 4 all’8 marzo. Esso è riservato ad un numero minimo di 20 partecipanti e si articola in 5 incontri, della durata complessiva di 35 ore di lezioni teorico-pratiche (moduli di didattica frontale su specifici argomenti, seguiti da esercizi di assaggio degli oli). Il responsabile del corso sarà un capo panel operante in un comitato di assaggio, ufficiale o professionale.

Durante il corso si terranno le prove selettive di verifica dei requisiti di idoneità fisiologica all’assaggio, affidate al responsabile del corso, il cui esito positivo darà diritto all’ottenimento dell’attestato di idoneità fisiologica all'assaggio dell'olio di oliva vergine, che costituisce un requisito indispensabile per l’iscrizione all’elenco nazionale di tecnici ed esperti degli oli di oliva vergini ed extravergini. E’ previsto il rilascio di un attestato di frequenza ai partecipanti che non avranno superato le prove selettive.

Informazioni possono essere fornite presso la sede Apol ed i centri di assistenza tecnica Apol:
  • APOL Società Cooperativa – Organizzazione di Produttori Olivicoli Via Ugo Foscolo, 2 – 73100 Lecce Tel. 0832.091737 – Fax 0832.091736;
  • Sede operativa Apol Borgagne - Z.I. Borgagne via Sant’Andrea;
  • Spongano c/o Camera Sindacale Comunale UIL via Giacomo Matteotti,8;
  • Ugento c/o Oleificio Labbate, via Taurisano, 18;
  • Trepuzzi c/o Camera Sindacale Comunale UIL, via Regina Elena, 15;
  • Galatone Agricola Galatea 1931 Soc. Coop. Via Galatina.
info@apol.it; www.apol.it;

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2. Quale filiera per le olive da mensa

Le olive da mensa, note anche come olive da tavola, rappresentano un’opportunità per differenziare l’organizzazione produttiva e commerciale di molte aziende che hanno cultivar a duplice attitudine, la cui produzione, cioè, può essere destinata sia all’ estrazione di olio, sia alla trasformazione da mensa. Le potenzialità di sviluppo di quest’ultima destinazione sono da ricercare nell’ampia diversificazione varietale di olive a duplice attitudine, oltre 60 cultivar, ripartite nelle diverse aree agricole olivicole italiane, con una prevalenza nel Centro-Sud e nelle isole.

Le interessanti prospettive di un settore ancora marginale del nostro territorio

Gli aiuti comunitari d’integrazione al prezzo, successivamente proseguiti con altri premi, hanno orientato le aziende olivicole verso la produzione di olio, ad eccezione di quelle nelle quali veniva praticata un’olivicoltura specializzata con varietà a unica attitudine da mensa. Solo recentemente l’OCM ha riconosciuto la produzione olivicola da mensa come settore separato da quello dell’olio, prevedendo interventi specifici di aiuti che senz’altro possono orientare l’olivicoltore a valutare la convenienza a destinare parte della produzione verso questo comparto che non è un’alternativa a quella dell’olio, ma una soluzione per acquisire maggiore flessibilità nel programmare, sul piano commerciale, la destinazione del prodotto. Da recenti dati statistici rilevati da COI, dall’ISTAT e da altri enti, viene confermato un trend positivo del consumo mondiale di olive da mensa, al quale corrisponde un aumento di produzione percentualmente inferiore. Questa differenza lascia intravedere proiezioni ottimistiche sullo sviluppo del settore anche nell’UE, leader della produzione mondiale che deve ricorrere a importazioni dal Marocco, dall’Egitto e dalla Turchia per far fronte alle richieste del mercato internazionale.

Sussistono, pertanto, interessanti prospettive anche per l’Italia, terzo produttore nell’UE dopo Spagna e Grecia, con 70mila t, quantità che rappresenta il 2% della produzione nazionale di olive, inferiore alla media europea dei paesi produttori che attesta su circa il 4%. Sono dati, questi, che evidenziano la marginalità di questo settore, pur essendo l’Italia uno dei principali Paesi consumatori (125mila t, dati COI).

Le importazioni (circa 70mila t), sono di provenienza spagnola e greca e il prodotto è per lo più semilavorato e confezionato. Le esportazioni raggiungono circa 8mila t con destinazione prevalente verso paesi extraeuropei, e in particolare negli Stati Uniti, dove la Dop “La Bella della Daunia” ha acquisito segmenti di mercato medio-alti. Risultati più che positivi si stanno ottenendo anche con altre due Dop (Nocellara del Belice e Oliva Ascolana del Pino), ma anche con cultivar a duplice attitudine (Taggias, Itrana, Nocellara Etnea, Nera di Gonnos, Peranzana, ecc.) che trovano utilizzazione sempre più diffusa nella gastronomia (patè, pane, snack, battuti, olive condite o ripiene ecc.) grazie alla possibilità di diversificare le percezioni sensoriali di uno stesso alimento (pizza, pasta, pane, ecc.) a seconda della cultivar scelta.

Da un’analisi di settore sulla produzione olivicola di mensa italiana, si rileva che solo il 35% proviene da varietà a unica attitudine, mentre la restante quantità è ottenuta da cultivar a duplice attitudine. Il consumo in Italia di olive da mensa, secondo gli ultimi dati COI, è stimato in circa 125 mila t, pari a 3 kg pro-capite annui, e il prodotto è prevalentemente importato (67%) già semilavorato o confezionato.

Le principali criticità del sistema

Il saldo negativo degli scambi commerciali con l’estero va ricercato fra molte concause di ordine strutturale, organizzativo e tecnico che coinvolgono i diversi operatori economici del settore (olivicoltori, industriali, commercianti).

Salvo rare eccezioni, manca una programmazione che pianifichi la realizzazione di un “sistema olivicolo” di olive da mensa nella sua articolazione territoriale.

E’ necessario valorizzare le differenti realtà produttive nell’ambito di progetti intersettoriali (filiere corte o lunghe) che consentano di recuperare le potenzialità di un segmento dell’olivicoltura purtroppo oggetto di poca attenzione.

Non v’è dubbio che i moduli olivicoli da mensa eccessivamente sottodimensionati, sia nella superficie che nella conduzione, rappresentino un’oggettiva difficoltà per realizzare un sistema produttivo territoriale che consenta di disporre di quantità di olive da mensa, suddivise per varietà e per sistema di lavorazione, sufficienti a far acquisire un potere contrattuale agli olivicoltori e a soddisfare un mercato che richiede diversificate tipologie di prodotto.

Tuttora, consistenti quantità di olive, che potrebbero essere lavorate e destinate al consumo come frutto, vengono molite per ottenere olio, non essendovi soluzioni alternative in quanto non esiste una capillare ed efficiente organizzazione economica della produzione che, mediante strutture associative, sia in grado di realizzare processi di filiera. Questa situazione porta inevitabilmente l’olivicoltore alla vendita dopo la raccolta o anche direttamente sulle piante alle condizioni che vengono dettate dai commercianti, fra le quali il prezzo e le modalità di pagamento.

Il prodotto non lavorato viene destinato prevalentemente ai trasformatori (60-65%) e ai commercianti (20-25%) che di rado stipulano preventivamente con l’olivicoltore contratti e accordi, mentre solo il 20% viene conferito alle poche cooperative o consorzi che operano nel settore. Il prodotto lavorato viene per lo più acquistato da grossisti (50-55%), mentre la restante parte è ripartita fra GDO e consumatori finali.

Secondo diverse fonti, si stima che in Italia operino 300 aziende di trasformazione, delle quali solo il 30% confeziona il prodotto: sono strutture con ridotta capacità lavorativa degli impianti che per il 60% non raggiungono i 2.000 q di lavorazione e di stoccaggio, e solo il 10% supera i 5.000 q. La produzione regionale è schematizzata nella tab. 1.

Tab 1 - Produzione regionale di olive da mensa

Sicilia

44,1%

Puglia

26,5%

Calabria

9,7%

Sardegna

7,6%

Lazio

2,6%

Campania

2,1%

Abruzzo

1,8%

Liguria

1,2%

Marche

1,2%

Altre regioni

2,9%

Elaborazione UNAPROL su dati ISTAT 2012

Ne deriva un quadro generale della nostra olivicoltura da mensa che richiede l’attuazione di una serie di misure tecniche e finanziarie da trasferire nelle diverse realtà olivicole con l’obiettivo di attivare un processo di organizzazione economica e d’innovazione di prodotto, recuperando e valorizzando le potenzialità di un settore che ancora oggi non viene valutato con la dovuta attenzione nei piani olivicoli nazionali e nei PSR, in considerazione del fatto che, purtroppo, le prospettive di redditività per molte aziende olivicole a continuare a produrre solo ed esclusivamente olio non sono più rassicuranti. La realizzazione di moduli di filiera territoriali, con una diversificata gamma di prodotti da proporre nei circuiti commerciali nazionali e internazionali, deve essere perseguita per uscire dalla situazione di precarietà nella quale si trova l’olivicoltura da mensa.

Le opportunità: diversificazione e legame con il territorio

Come più volte ribadito, tale soluzione non vuole rappresentare un’alternativa alla produzione di olio d’oliva, ma un’opportunità per aumentare la dinamicità ed il reddito delle aziende olivicole che possono offrire il prodotto in diverse tipologie.

Un’azione di recupero delle potenzialità del settore che deve avere come supporto una politica di marketing rivolta a tipizzare la produzione di olive da mensa dei diversi areali olivicoli, mettendo in evidenza le proprietà nutraceutiche e gastronomiche del prodotto.

Va sottolineato che la ricerca e la sperimentazione stanno monitorando da decenni le varietà che, opportunamente migliorate geneticamente, consentono di conferire un’identità territoriale a una vasta gamma di prodotti la cui diversità sensoriale rappresenta una carta vincente per le molteplici utilizzazioni delle olive da mensa.

Fonte: Terra e Vita n. 38/2012


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3. I contenitori per l’olio

L’olio e tutte le sostanze grasse hanno come principale nemico l’invecchiamento. Per questa ragione, uno dei principali obiettivi della ricerca scientifica per questi prodotti alimentari è stato proprio quello di ritardarlo il più possibile. Per quanto riguarda l’olio extravergine di oliva, in particolare, la conservazione ha lo scopo di mantenere a lungo intatte le sue caratteristiche peculiari e, pertanto, essa finisce con l’assumere un’importanza fondamentale nel definire i tempi della commercializzazione. In tema di confezionamento dell’olio, spesso il confronto tra modalità e materiali impiegati viene effettuato sulla base di proposte presenti sul mercato che arrivano da settori diversi da quello oleicolo. Infatti, mentre in Italia regna sovrana la bottiglia in vetro, in altri paesi non è affatto così. Tra i diversi contenitori utilizzati nelle varie parti del mondo per confezionare l’olio extravergine di oliva si possono annoverare tanto quelli in vetro trasparente e in vetro opaco, quanto quelli in materiale plastico (PET) e in banda stagnata, fino ai più recenti in Tetra-brick. Quest’ultimo contenitore, in particolare, sebbene sia utilizzato pochissimo in Italia per il settore degli oli extravergine di oliva, esso incontra già una larga diffusione in paesi come Spagna e Grecia anche per prodotti di alta gamma come gli oli DOP.

I risultati di una ricerca condotta dall’Università spagnola di Vigo mirata a confrontare le performance di questi contenitori, confermano che durante la conservazione dell’olio protratta per 3 e 6 mesi a temperatura ambiente ed in condizioni di esposizioni alla luce analoghe a quelle dei supermercati, il contenuto in antiossidanti fenolici varia in maniera differente a seconda della natura del recipiente. In particolare, i risultati della ricerca hanno dimostrato che già dopo 3 mesi si è avuto, in tutti i casi, una perdita di almeno il 20% di antiossidanti. Questo calo è stato comunque minore per l’olio contenuto nella banda stagnata e nel Tetra-brick. Molto eloquente il dato dopo 6 mesi che, accanto ad una riduzione di antiossidanti superiore al 50%, ha evidenziato ancora una volta come i migliori contenitori fossero il Tetra-brick e la banda stagnata, seguiti dal vetro chiaro, dal PET rivestito in alluminio e dal PET trasparente.

Per una migliore comprensione dei risultati emersi dalla ricerca, è opportuno analizzare una loro interpretazione correlandoli alle conoscenze che governano il processo di ossidazione che, com’è noto, può essere favorito da alcuni fattori e contrastato da altri. Tra i primi si ricordano la luce e l’ossigeno, tra i secondi vanno richiamati proprio i composti antiossidanti come i fenoli (per tale motivo la loro scomparsa è proporzionale all’avanzamento del processo ossidativo). I risultati vanno, quindi, interpretati in funzione della capacità del contenitore di permettere la penetrazione di ossigeno o di luce. Nel caso in esame, a parità di condizioni, i migliori contenitori sono risultati proprio quelli in grado di evitare completamente la penetrazione della luce (Tetra-brick e banda stagnata) e dell’ossigeno (Tetra-brick, banda stagnata e vetro), mentre il PET è risultato il peggiore a causa della sua permeabilità (anche se bassa) all’ossigeno oltre che alla luce. Per quanto riguarda la situazione italiana, va sottolineato come negli ultimi anni si è ampiamente diffuso per gli oli di pregio (e non solo) l’uso della bottiglia in vetro scuro in sostituzione di quella trasparente. Sebbene questo contenitore non sia stato preso in considerazione dallo studio menzionato, va ricordato che, seppur incapace di riflettere completamente le radiazioni luminose (come fanno invece il Tetra-brick e la banda stagnata), esso è in grado di filtrarne una parte.

Oltre che la tipologia di contenitore, la fase di imbottigliamento deve tenere in considerazione anche la modalità di esecuzione dell’operazione stessa. In questo ambito, il mercato offre oggi soluzioni che permettono di ridurre la presenza di ossigeno in bottiglia e/o una sgradevole ossigenazione originata dal processo di riempimento. Tra gli altri, in questa sede si vuole porre l’attenzione sull’impiego di riempitrici a depressione in cui l’olio viene richiamato dal vuoto che la macchina crea all’interno delle bottiglie, nonché l’utilizzo di gas inerti nella fase finale di imbottigliamento. Quest’ultimo sistema permette di eliminare l’ossigeno presente nello spazio di testa della confezione sostituendolo con altri gas inerti (normalmente azoto o in alcuni casi argon). La riduzione dell’ossigeno a contatto con l’olio è importante per il ruolo di innesco del processo ossidativo, tuttavia l’utilizzo di gas inerti nello spazio di testa non è in grado di rimuoverlo completamente in quanto l’ossigeno è presente anche in forma disciolta nell’olio.

Atro fattore spesso sottovalutato nel confezionamento è rappresentato dalla scelta del tappo. Le ricerche in questo campo indicano che il miglior tappo è quello in grado di garantire la chiusura ermetica poiché l’impermeabilità all’ossigeno (eventualmente garantita dalla natura del contenitore) potrebbe essere annullata proprio da questo particolare. Questo aspetto richiede ulteriore attenzione e approfondimento nel caso in cui si sia fatto ricorso a gas inerti per saturare lo spazio di testa dei contenitori in modo da non vanificare l’effetto. Tra i tappi, sono sicuramente da sconsigliare quelli in sughero a causa della elevata permeabilità di questo materiale all’ossigeno che può causarne un precoce invecchiamento.

Tornando al mercato italiano, la bottiglia di vetro è senza dubbio il pack preferito dal consumatore. Ai fini della conservazione dell’olio extravergine, l’utilizzo del vetro può considerarsi valido, ricordando però quanto anzidetto e cioè che le bottiglie di colore ambra o verde scuro sono da preferirsi assolutamente a quelle trasparenti, poiché proteggono il prodotto da uno dei suoi principali nemici: la luce.

Contenitori e imbottigliamento

Per quanto la fase di imbottigliamento dell’olio possa risultare di interesse inferiore ai fini della determinazione della qualità, rispetto alle fasi di frangitura, gramolatura e separazione, alcune considerazioni ed accorgimenti possono risultare particolarmente utili per i produttori nella scelta dei contenitori e delle macchine imbottigliatrici.

Secondo il Reg. CE 1019/02, il prodotto destinato al consumatore finale deve essere assolutamente confezionato in recipienti sigillati, correttamente etichettati, di capacità massima non superiore a 5 lt. L’unica deroga a questo imperativo è sulla capacità del contenitore che nel nostro paese viene estesa a 25 lt nel caso in cui l’acquirente sia una collettività.

Il miglior modo di conservazione dell’olio una volta estratto è quello di stoccarlo in serbatoi di acciaio inox in assenza di ossigeno. Compatibilmente con le necessità produttive, quindi, l’imbottigliamento deve essere posticipato il più possibile, dal momento che la qualità del prodotto si conserva più a lungo se esso è custodito in contenitori molto grandi. L’operazione di imbottigliamento avviene normalmente con l’ausilio di macchine imbottigliatrici la cui scelta è funzione della produttività oraria richiesta e dell’integrazione con altre macchine quali sciacquatici/soffiatrici ed etichettatrici, nonché dalle dimensioni del confezionatore. La scelta della bottiglia, invece, è sicuramente un fatto estetico ma, nel caso di utilizzo di etichettatrici automatiche bisogna tener presente che una bottiglia cilindrica si etichetta in maniera più semplice e rapida rispetto ad una bottiglia quadrata. Come già detto, l’impiego di bottiglie di vetro scuro è importante per proteggere l’olio dalla luce, ma se il produttore desidera mostrare il colore del proprio olio, può optare sull’utilizzo di bottiglie trasparenti il cui vetro contiene degli additivi in grado di schermare i raggi UV maggiormente aggressivi. Ovviamente tale scelta comporta un significativo aggravio di costi.

Sotto il profilo igienico, le bottiglie provenienti dalle vetrerie solitamente sono idonee al confezionamento e spesso, per eliminare polvere o altri inquinanti, sono sufficienti rapidi lavaggi con acqua e sanificanti ed una accorta asciugatura.

Le imbottigliatrici classiche utilizzate per il vino, quali ad esempio le imbottigliatrici volumetriche o le imbottigliatrici a livello costante, possono essere adattate al confezionamento dell’olio. In questi casi le capacità produttive sono però più basse a causa della maggiore viscosità del liquido. Come già indicato, per ridurre questi inconvenienti, è consigliabile l’acquisto di imbottigliatrici a depressione, nelle quali i rubinetti di riempimento sono muniti di guarnizioni che permettono la tenuta stagna con la bottiglia e sono in grado di aspirare tutta l’aria del contenitore attraverso un tubo di ritorno collegato alla pompa del vuoto. Questa soluzione permette di aumentare sensibilmente la shelf-life dell’olio e di preservare più a lungo le sue caratteristiche qualitative.

Fonte: Elaborazione APOL da AA.VV.


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